Il consiglio di Paolo

Autore: Papa Francesco, a cura di Marco Bétemps
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MEDITAZIONE  MATTUTINA  NELLA  CAPPELLA DELLA  DOMUS SANCTAE MARTHAE

 

Il consiglio di Paolo

 

Martedì, 1 settembre 2015

 

L’apostolo Paolo scrive alla comunità di Tessalonica (5, 1-6. 9-11). Forse questa lettera è la prima che lui ha scritto e l’ha indirizzata ad una comunità un po’ inquieta perché preoccupata di come e quando sarebbe stato e sarebbe venuto il giorno del ritorno del Signore. Tanto che già nel brano letto il giorno prima, san Paolo è costretto a raccomandare di non essere tristi come quelli che non hanno speranza. Infatti la comunità si chiedeva: Cosa succede ai morti, dove vanno i morti? Ed ancora: Quando viene il Signore? E qualcuno rispondeva: No, viene subito! E se viene subito, non lavoriamo!

Così Paolo, uomo concreto, deve rivolgersi ai cristiani di Tessalonica con un’espressione forte: Ma, chi non lavora, che non mangi! Insomma, a questa comunità un po’ così l’apostolo deve insegnare la strada della pace. E sempre il passo dell’epistola del giorno precedente ammoniva di non essere tristi, perché il Signore verrà ed i vostri morti sono con lui. Ma Paolo va poi anche oltre: E così per sempre saremo con il Signore. Questa affermazione, è una consolazione grande ed è quello che ci aspetta, tutti noi. Inoltre il brano di ieri finiva con un consiglio: confortatevi, dunque, a vicenda con queste parole.

Ma anche oggi il brano che abbiamo letto finisce con la stessa espressione: confortatevi a vicenda. E’ infatti proprio il conforto che dà la speranza: il Signore verrà, e verrà quando lui vorrà venire, quando lui vedrà che sarà giunto il tempo. Nessuno può dire quando sarà: Paolo scrive addirittura che il Signore verrà come un ladro, come le doglie ad una donna incinta: viene! Ed in questa prospettiva noi cosa dobbiamo fare? Paolo suggerisce, appunto, questo consiglio: Confortatevi, confortatevi a vicenda. Invita cioè a parlarne insieme. Ma io vi domando: noi parliamo del fatto che il Signore verrà, che noi incontreremo lui? Oppure parliamo di tante cose, anche di teologia, di cose di Chiesa, di preti, di suore, di monsignori, tutto questo? Ed il nostro conforto, è questa speranza?

Il consiglio di Paolo è quello di confortarsi a vicenda, confortarsi in comunità. Nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie, si parla del fatto che siamo in attesa del Signore che viene o si chiacchiera di questo, di quello, di quella, per passare un po’ il tempo e non annoiarsi troppo? Qual è il mio conforto? E’ questa la speranza? Io sono sicuro che il Signore verrà a cercarmi ed a portarmi con lui? Ho questa certezza?

“Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi” (Salmo 26). Ma tu hai quella certezza di contemplare il Signore? Nel finale tanto bello del capitolo 19 del libro di Giobbe, Giobbe soffriva tanto, eppure in mezzo ai suoi dolori, alle sue piaghe, alle sue incomprensioni, alla sofferenza di non capire perché gli accadeva questo, diceva: “Ma io sono certo, io so che il mio Redentore è vivo; io so che Dio è vivo ed io lo vedrò e lo vedrò con questi occhi”.

Una testimonianza che interpella ciascuno di noi. Io ci credo, a questo? O meglio non pensare? Pensiamo ad un’altra cosa, perché questa certezza che il Signore verrà a trovarmi, a portarmi con lui... E questa è la nostra pace, questo è il nostro conforto, questa è la nostra speranza.

E’ vero, lui verrà a giudicare e quando andiamo alla Sistina vediamo quella bella scena del Giudizio finale: è vero! Ma pensiamo anche che lui verrà a trovarmi perché io lo veda con questi occhi, lo abbracci e sia sempre con lui. Questa è la speranza che l’apostolo Pietro ci dice di spiegare con la nostra vita agli altri, di dare testimonianza di speranza.

Dunque questo è il vero conforto: “Sono certo, questa è la vera certezza, di contemplare la bontà del Signore”. Perciò, rilanciamo il consiglio di Paolo: “confortatevi a vicenda con le buone opere e siate d’aiuto gli uni agli altri”. E così andremo avanti. Del resto, proprio nella preghiera all’inizio della messa abbiamo chiesto al Signore che lui sviluppi il germe che ha seminato in noi, quel seme di bontà, quel seme di grazia.

Chiediamo al Signore la grazia che quel seme di speranza che ha seminato nel nostro cuore si sviluppi, cresca fino all’incontro definitivo con lui, per poter affermare: “Io sono certo che vedrò il Signore; io sono certo che il Signore vive; io sono certo che il Signore verrà a trovarmi”. E’ questo l’orizzonte della nostra vita. Dunque chiediamo questa grazia al Signore e confortiamoci gli uni gli altri con le buone opere e le buone parole, su questa strada.